mercoledì 31 gennaio 2024

Dire la Storia

 



In questi ultimi giorni mi è capitato di discorrere amenamente con un giovane collega di lettere che accidentalmente si trova anche ad insegnare geostoria al biennio delle superiori; ebbene, mi ha fatto sorridere la sua personale difficoltà verso l'insegnamento della storia, materia che non gli è affatto congeniale, ma al contempo mi ha fatto riflettere: come mai la storia alle superiori deve essere sempre affiancata da altre discipline, quasi che non possa stare in piedi da sola? Al biennio è stata unita simbioticamente alla geografia a creare un mostro chiamato geostoria, al triennio è unita alla filosofia (e sappiamo troppo bene che fine fa quando si perde un'ora di lezione)...

Ebbene, tale superficialità verso questa disciplina, tra le più affascinanti e complesse, si trova anche in TV o in libreria, dove giornalisti si improvvisano storici, quasi che tutti potessero parlare di storia, tanto....è solo storia. No?!? Allora basta avere qualche particolare interesse in questo ambito e aver fatto qualche lettura per sentirsi investiti del ruolo di storico (solitamente tipo saccente e saputone) che deve piegare agli altri il senso degli eventi. Magari utilizzando il metodo della cronaca così che il continuum degli eventi - vero rivelatore del senso profondo di quanto accade - viene sbrindellato in una sequenza di attimi circonstanziati e avulsi dal loro contesto.

Alcuni titoli dei programmi stessi rivela il grande inganno in cui cadono questi storici provetti: "La grande Storia", "Passato e presente", "Una giornata particolare". Un docufulm è storia? Il confronto tra passato e presente partendo da singoli eventi è fare storia? Si può parcellizzare la storia partendo da una singola giornata? La risposta a tutte e tre le domande è, ovviamente, no. Nel senso che sono sicuramente aspetti utili alla ricerca storica, ma non la esauriscono né restituiscono agli eventi di cui trattano la dovuta complessità.

Certo, la storia affascina - e come non potrebbe, essendo la nostra storia! - ma necessita di essere maneggiata con molta cura e attenzione. Gli eventi che racchiude (siano essi recenti o lontani) sono frutto di uomini, culture e sistemi di pensiero che ci chiedono di essere studiati in profondità per essere realmente compresi. La storia non è maestra di vita di per sé, lo diventa solo se la si studia in modo approfondito e se se ne fanno emergere i gangli fondamentali.

Allora, meno giornalisti e più storici in TV! Il prof. Alessandro Barbero è andato in pensione, forse sarebbe il caso che qualche emittente lo arruolasse e gli affidasse finalmente uno spazio televisivo dove mostrare come si affronta la storia in modo serio e professionale. 

  





sabato 27 gennaio 2024

Fare memoria

 



«La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati».

Queste sono le parole con le quali è stata istituita la 'Giornata della Memoria' nel nostro Paese: un momento per riflettere e non dimenticare l'immane tragedia che è stato l'Olocausto, ovvero l'eliminazione sistematica di interi gruppi di persone.

Lo United States Holocaust Memorial Museum calcola che circa 15-17 milioni di persone persero la loro vita come risultato diretto dei processi di "arianizzazione" promossi dal regime nazista, tra il 1933 e il 1945:
Vittime%Numero (approssimativo)
Ebrei (Jews)42%6 milioni
Polacchi, Ucraini e Bielorussi (Ethnic Poles, Ukranians & Belarusians)22%3,5 / 4 milioni
Prigionieri di guerra sovietici (Soviet POWs)20%3 milioni
Politici (Politicals)10%1,5 / 2 milioni
Jugoslavi (Jugoslavia)3%320 000 / 350 000 (serbi); 20 000 / 25 000 (sloveni)
Rom2%196 000 / 300 000
Disabili (Disabled)1%250 000 / 270 000
Altri (Other)1%5 000 / 15 000 (omosessuali); 1 900 (testimoni di Geova); piccoli gruppi di afro-europei; ecc.

Numeri che danno i brividi, ma questa giornata non ha solo lo scopo di informarci su quanto accaduto, ma di fare memoria, appunto. Allora ritengo utile riflettere un attimo su cosa significhi 'fare memoria'.

Solitamente noi accostiamo la memoria alla capacità di ricordare qualcosa: fin dalle elementari impariamo che abbiamo memoria se ricordiamo le tabelline o le poesie, se riusciamo ad affrontare le interrogazioni e le verifiche con successo perché riusciamo a ricordare le risposte alle domande che ci vengono poste. Quindi la prima dimensione della memoria che impariamo a conoscere è quella intellettiva, quasi che essa fosse una funzione della nostra mente, della nostra capacità di recepire e immagazzinare informazioni. Questa funzione però rischia di essere superficiale: passato il momento, le informazioni vengono abbandonate in un limbo che un po' alla volta le fa scivolare nel dimenticatoio.

Tuttavia vi è anche un altro aspetto: quando torniamo in un luogo in cui siamo stati particolarmente bene o male, il nostro corpo ci fa riprovare quelle sensazioni ed emozioni che avevamo provato in precedenza. Anche questa è memoria ed è una dimensione maggiormente coinvolgente, in quanto tutta la nostra persona (corpo e mente) ne viene investita. Ed è a questo livello che la 'Giornata della Memoria' vorrebbe agire: non un semplice ricordo mnemonico, ma un coinvolgimento profondo di ciascuno di noi.

Ci possono essere però due tipologie di partecipazione: quella di chi, di fronte a quanto viene evocato assume un atteggiamento pietistico che si concentra soprattutto sulla tragicità degli eventi che hanno colpito le vittime, per le quali prova pena e pietà. Questa risposta emotiva è immediata e credo che ciascuno di noi la possa sentire sgorgare dentro di sé, ma ha un forte limite: la vittima rimane altro da me, non c'è vera comunicazione tra il presente del racconto e il passato degli eventi. Una seconda possibilità di partecipazione invece porta l'ascoltatore ad entrare in contatto empatico con chi è stato vittima di quelle inaudite violenze: in questo caso vi è una comunicazione più profonda tra le due parti ed è questo il significato profondo della 'Giornata della Memoria', ovvero di portare ciascuno di noi a comprendere in profondità l'orrore di quanto accaduto e a sentire dentro di noi tutta la tragicità di quegli eventi.

Se avremo il coraggio di affrontare questo percorso di discesa negli inferi accanto a quanti li hanno vissuti allora faremo memoria in senso pieno.

venerdì 26 gennaio 2024

Umanità e diritto





Oggi si è espressa la corte dell'Aja (il Tribunale penale internazionale) circa il ricorso fatto dal Sudafrica contro Israele rispetto alla situazione a Gaza.
I giudici hanno saputo tenere un saggio equilibrio; in sostanza hanno affermato che non c'è genocidio, non hanno chiesto il cessate il fuoco, hanno chiesto ad Hamas la liberazione ostaggi e ad Israele di fare di tutto per evitare che la situazione degeneri in un genocidio. Quindi la guerra di Israele in risposta alla tragica azione terroristica di Hamas è legittima, ma non è accettabile il massacro indiscriminato dei civili. Quindi, alcune delle denunce di violazione dei diritti umani presentate dal Sudafrica sono giustificate e Israele deve adottare tutte le misure in suo potere per prevenire un genocidio e migliorare la situazione umanitaria della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza.


Questa decisione lungimirante permette di non gettare ulteriore benzina sul fuoco di un conflitto già troppo infuocato e permette alla due parti di sentirsi prese in considerazione: Israele nella giustificazione della propria azione militare (cosa che il premier israeliano Netanyahu non ha tardato a sottolineare) e i Palestinesi nella necessità di preservare le vite civili. Inoltre, a ciascuna delle due parti in causa è stato richiesto di fare passi avanti per avviarsi verso la risoluzione del conflitto: Hamas deve rendere la libertà agli ostaggi e Israele deve moderare l'uso della forza rimodulando la sua azione militare.


Ovviamente, le critiche non sono mancate, prima fra tutte quella di Itamar Ben Gvir, ministro israeliano per la sicurezza nazionale, che ha accusato la Corte di essere antisemita. Accusa ovviamente da rigettare in quanto non ci può essere antisemitismo in una decisione che critica alcune azioni dello Stato israeliano senza toccare la dimensione ebraica dello stesso: al contrario di quanto afferma il ministro, criticare lo Stato di Israele non significa in alcun modo voler perseguitare il popolo ebraico. Ma siamo abituati a simili travisamenti della verità da parte di esponenti dell'estremismo israeliano, di cui Ben Givr ne è un fulgido esempio (da giovane fu affiliato al gruppo terroristico israeliano Kahane Chai e attualmente leader del partito politico di estrema destra Otzma Yehudit, vicino ai coloni israeliani che occupano illecitamente i territori palestinesi).


Speriamo che questo pronunciamento, accanto a tutti gli altri inviti provenienti dalla comunità internazionale, portino le due parti in conflitto al tavolo delle trattative per la costruzione di una pace duratura, che ponga fine alle sofferenze del popolo palestinese e dia quella sicurezza tanto cercata dal popolo israeliano. Un sentiero stretto, tortuoso e in salita, ma è l'unica via che possa portare a qualcosa di buono. Con la volontà di tutti.









mercoledì 24 gennaio 2024

A qualunque costo?

 



È di questi giorni la notizia che la sanità pubblica perde un altro pezzo: anche il medico di base si trasforma in un professionista privato. Certo - niente allarmismi - è un caso isolato e non la norma, ma rimane pur sempre un segnale dei tempi che stiamo vivendo: prima l'apertura del SSN al privato convenzionato, poi - dato il congestionamento del pubblico - la supplenza sempre più invasiva del privato rispetto al pubblico, ora addirittura si prefigura una possibile completa sostituzione del sistema sanitario pubblico?

L'idea che con i soldi si possa comprare tutto (persone comprese) non è certamente nuova, ma se applichiamo questo ragionamento alla salute emergono in modo evidente alcune implicazioni: innanzitutto il fatto che chi ha i soldi si può curare, gli altri... no. Fino a qui quasi banale, ma giocando su questa possibile paura, le società assicurative hanno iniziato a proporre ai clienti tutta una serie di pacchetti previdenziali che vanno a coprire una serie di possibili criticità inerenti la salute personale; ma non solo, ultimamente hanno iniziato a sottoporre all'attenzione degli acquirenti vere e proprie assicurazioni sanitarie che in qualche modo si sovrappongono a quello che il SSN dovrebbe garantire ai cittadini.

Tutto bene quindi? Sì, se l'obiettivo è quello di non ritrovarsi nell'impossibilità di curarsi: basta sottoscrivere alcune di queste polizze e assicurazioni e il gioco è fatto. Ma è veramente questo il nocciolo della questione? Io credo di no. Cito alcuni articoli della nostra Costituzione: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese" (art.3 comma2); "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti" (art.32 comma1).

Da queste poche righe emerge chiaramente come il diritto alla salute sia da un lato un diritto fondamentale proprio di ogni persona che non può in alcun modo essere violato e, dall'altro, che è compito dello Stato non solo fare in modo che questo diritto venga riconosciuto e rispettato, ma anche mettere ciascun individuo in condizione di poter usufruire delle cure necessarie. Appare chiaro come la situazione attuale sia ben lontana da quanto contenuto nella Costituzione e non è pensabile che il semplice lasciare spazio al privato sia l'unica risposta che lo Stato ha saputo trovare per cercare di mantenere vivo il diritto alla salute.

Nessuno nega che la sanità sia un costo e che molto spesso - nel corso dei decenni - si sia speso molto e male in questo settore, ma non è accettabile che ora, per rimediare ad grossolani errori del passato, noi si debba rinunciare a quel sistema sanitario universalistico che è la cifra della nostra Democrazia. Certo, una accurata amministrazione del SSN è la base per la sua sopravvivenza, ma la sua preservazione è una necessità prima ancora che un bisogno e se ci rinunciamo dobbiamo essere anche disposti a riconoscere ciò che lasciamo: siamo veramente pronti ad affidarci ad assicurazioni private e a mettere la nostra salute a confronto con il denaro? Francamente la cosa mi inquieta alquanto e spero vivamente di non dover assistere al definitivo tramonto del nostro SSN.

martedì 23 gennaio 2024

Ferisce più la lingua che la spada

 



Queste ultime settimane hanno messo nuovamente al centro dell'attenzione l'uso dei social e, in particolar modo, del linguaggio che utilizziamo quando li frequentiamo. Al di là di specifici fatti di cronaca, ritengo che più in generale sia importante riflettere sulla violenza gratuita che circola nei social, quasi che tutta la rabbia repressa che incameriamo nella vita reale poi non aspettiamo altro che riversarla in queste relazioni virtuali, come se oltre lo schermo non ci fossero altre persone in carne e ossa.

L'idea di aver creato queste piazze virtuali nelle quali sentirsi liberi di esprimersi come si vuole, senza badare all'altro (semplicemente perché non lo si vede) è una degenerazione abbastanza grossolana di quella china che già si era intrapresa e che aveva colpito diversi ambiti della società (dalla politica ai giornali al lavoro) nei quali spesso si travalica la buona educazione e si arriva gratuitamente ad insultare la controparte.

Alla base di questi atteggiamenti spesso vi è una pochezza di argomenti per ribattere fattivamente a chi la pensa diversamente da noi, tuttavia altre volte, nonostante la presenza di argomenti con cui argomentare il proprio pensiero, si preferisce alzare il tono o esprimersi con un linguaggio colorito con l'intento di dare forza maggiore al proprio argomentare. Ovviamente nulla di più sbagliato: la validità di un'idea non si basa sul tono di voce con cui viene espressa e nemmeno dal registro linguistico con cui viene formulata. O forse si?

Alcune strategie comunicative - utilizzate spesso ad esempio nei salotti televisivi - mirano a togliere spazio all'altro, a renderne difficoltosa la comunicazione, a interromperne il ragionamento, a sovrastarne la voce. In questo contesto non prevale l'idea migliore, ma quella che viene espressa con più violenza. Ecco, siamo una società che si sta abituando alla comunicazione violenta, scambiando tale veemenza per la loro forza. Ma non è così: la forza delle idee risiede nella loro ragionevolezza, nella fondatezza dei presupposti sui quali si fondano, sulla loro capacità di spiegare compiutamente un aspetto, non nella brutalità con la quale vengono espresse.

Per riuscire a dare corpo ad un pensiero però serve tempo e spazio e questi due elementi divengono sempre più rari e, soprattutto, sono estranei al mondo dei social dove mi viene richiesta una assoluta (ed assurda) sinteticità: una frase, una foto, un solo elemento per volta. Ecco che allora, per sopperire a questa pochezza di spazio e di tempo, ci sentiamo autorizzati ad alzare il tono, ad esprimerci come magari non ci esprimeremmo se ci trovassimo di persona. 

Questa violenza sta entrando nel nostro quotidiano e sta distorcendo il nostro modo di esprimerci. Forse, quanti hanno la possibilità (data dalla visibilità) dovrebbero assumersi la responsabilità di fungere da esempio nel ritorno ad una comunicazione maggiormente rispettosa dell'altro e tutti noi dovremmo riprenderci il tempo e lo spazio della comunicazione che questa società sembra volerci rubare, nella frenesia di un'eterno presente fatto di istanti successivi sconnessi tra loro e assolutamente insignificanti perché privi di contenuto.

sabato 20 gennaio 2024

Così parla Zarathustra

In queste ultime settimane, notizie curiose giungono dall'Iran. Non mi riferisco ovviamente all'allargamento del conflitto mediorientale al Mar Rosso/Yemen e da ultimo al Pakistan, ma a qualcosa di assai più singolare, almeno agli occhi di noi occidentali.

Sembra (condizionale d'ordinanza) che parte delle proteste che come un fiume carsico percorrono le lande della repubblica islamica riemergendo in alcuni momenti, siano connesse ad un revival dello Zoroastrismo. Per la maggior parte di noi credo che esso sia una lontana rimembranza sepolta assieme all'impero dei Parti o - al più - richiami alla mente il celeberrimo libro di Friedrich Nietzsche e nulla più. Invece lo Zoroastrismo, seppur praticato da sparute minoranze in Iran, India e Pakistan, è ancora vivo e vegeto e alcuni personaggi famosi in tutto il Mondo provengono da questo universo religioso e culturale (basti qui citare Freddie Mercury e Zubin Metha).

Ebbene, in queste proteste - soprattutto quelle animate dalle donne - si proclama un ritorno alle origini, a ciò che, antecedentemente alla conquista araba, era l'Iran. Quasi un tentativo di recuperare il passato  per contrastare il presente in vista di un futuro migliore. È evidente come l'intento sia quello di screditare la classe religiosa degli ayatollah vista come la causa dei mali che attanagliano la società iraniana. Un tentativo sicuramente interessante, soprattutto se dovesse connettersi a qualche frangia del nazionalismo iraniano. Infatti lo Zoroastrismo, lungamente religione predominante dall'altopiano anatolico all'Indo, è stato spazzato via proprio da quegli arabi che hanno imposto l'Islam; non solo, con la caduta dell'impero dei Parti e la conquista araba, l'altopiano iranico, per secoli cuore e fucina di imperi, si è trovato ad essere una regione satellite, perdendo la propria centralità. 

Tornare quindi all'universo religioso-culturale precedente significa anche voler riaffermare l'unicità della storia di quel territorio e la sua funzione di propulsore di identità. L'Iran basta a sé stesso, non ha bisogno di elementi provenienti dall'esterno per darsi una forma compiuta: ha le sue tradizioni, le sue leggi, i suoi sacerdoti, il suo Dio, il suo credo. Tornare a quello, tornare alle origini diventa quindi al contempo forma di liberazione dall'oppressione islamica che da secoli opprime il Paese e riscoprire la vera identità dell'Iran, togliendo tutte quelle incrostazioni che lungo il tempo si sono accumulate.

Una tale prospettiva può realmente essere perseguita e, soprattutto, produrre risultati concreti? Difficile, inutile illudersi. Ma qualcosa si muove, se è vero che il figlio dell'ultimo Scià di Persia si sta muovendo, criticando il regime islamista e facendo preoccupare i vertici politici iraniani (ma sollevando non poche perplessità anche in altri ambienti, anche tra quelli che animano le proteste contro il regime). In fin dei conti l'Iran anche all'interno del mondo islamico ha mantenuto una sua particolare caratterizzazione (è sciita, rispetto alla maggioranza sunnita dell'universo islamico) e si è andato a definire - a partire dalla rivoluzione di Khomeini - in modo alternativo rispetto all'occidente. Ma tale forza interna del regime si basa sulla capacità di mantenersi influente e dare un'immagine di potenza all'esterno (e gli attacchi dei pirati Houti nel Mar Rosso come le frizioni con il Pakistan hanno esattamente questa funzione, così come le minacce ad Israele); cosa succederebbe se tale immagine venisse a traballare? Il regime degli ayatollah potrebbe ancora considerarsi così sicuro di mantenere la presa sul potere politico nella repubblica islamica? 

Certo, un antico e sapiente adagio recita: "con i se e con i ma la storia non si fa", eppure chissà cosa ci potrà riservare il futuro. Che sia vicino il tempo di un nuovo Zarathustra?
 

venerdì 19 gennaio 2024

Chiacchiere da bar?

 





Ieri mattina, in una pausa dal lavoro, sono entrato in un bar per prendere un caffè. Avendo qualche minuto, mi sono seduto ad uno dei tavolini e ho iniziato a scorrere uno dei quotidiani presenti. Ad un certo punto, una conversazione che stava intercorrendo tra due persone sedute ad un tavolino vicino al mio, ha attirato la mia attenzione: ovviamente si parlava di politica e un distinto signore in giacca, cravatta e scarpe lucide era impegnato nel cercar di convincere l'amico della ragionevolezza delle proprie idee.

Ciò che mi ha colpito è stata una singola frase: "Le cose sono state lasciate andare per trent'anni, ora si vede che qualcosa stanno facendo". Una frase generica, ma che all'interno del contesto non conteneva una precisa adesione politica, semplicemente un'analisi sconsolata degli anni della così detta Seconda Repubblica. Vista l'età dei due conversatori sarebbe comprensibile leggere in filigrana una certa nostalgia per l'epoca in cui la Balena Bianca la faceva da padrona nella scena politica del nostro Paese, ma credo che più semplicemente la frase volesse indicare quel senso di smarrimento che molti possono provare di fronte ad una classe politica che si presenta ad ogni elezione con la soluzione a tutti i nostri problemi e poi non riesce che a peggiorare la situazione.

"Qualcosa stanno facendo". Sempre in questi giorni ho avuto modo di guardare una trasmissione di attualità politica pomeridiana e, nel confronto tra un esponente di FDI e uno del PD, ad un certo punto, è uscita la frase "Noi siamo abituati a fare quello che diciamo, non come i Governi della Sinistra!". Al netto dell'evidente intento polemico dell'affermazione, ancora una volta emerge come centrale l'importanza del fare. Sia ben inteso: non viene qualificato questo "fare", semplicemente si fa qualcosa (bene o male che sia, apparentemente poco importa).

Questa consapevolezza mi ha sorpreso: siamo così disillusi dalla politica che riteniamo essere inconcludente, che ci basta vedere qualcuno fare qualcosa per aggrapparcisi. Non proprio un buon motivo per sostenere il Governo di turno (di qualsiasi colore politico sia), eppure penso che quelle chiacchiere fatte in un bar davanti al caffè racchiudano il pensiero di molti nel nostro Paese: dopo aver provato tutti gli altri, proviamo anche questi, peggio difficilmente faranno, vediamo se fanno qualcosa! E, impressione generale, qualcosa stanno facendo, quindi bene così.

I valori, i principi, i grandi discorsi funzionano solo se accompagnati e sostenuti da azioni concrete. L'impressione è che le persone ormai siano stanche delle chiacchiere e dei salotti della politica, dove politici e giornalisti chiacchierano più o meno amabilmente di tutto, senza produrre nulla di concreto. La politica, in quanto governo della Polis è arte pratica: si ispira a valori e principi teorici, ma li deve rendere ben visibili in scelte concrete che vadano ad incidere sulla vita dei cittadini. Se la percezione è che in questo Paese manchi un'alternativa a questa Destra nazionalista e conservatrice, significa in primis che tutte le altre componenti politiche hanno fallito alla prova dei fatti.

Quindi, un consiglio non richiesto: uscite dai salotti cari politici e provate ad entrare alla chetichella in qualche bar, forse, fra tante chiacchiere potreste trovare anche alcune idee per dare corpo a quei principi che tanto affermate, ma che solitamente lasciate cadere nel vuoto.



mercoledì 17 gennaio 2024

"Chi è senza peccato scagli la prima pietra"

 


Sono trascorsi mesi dal funesto 7 ottobre dello scorso anno in cui dei criminali di Hamas hanno compiuto un massacro in territorio di Israele, uccidendo centinaia di persone (donne, uomini, vecchi, bambini) senza pietà. Da allora, lo Stato di Israele ha iniziato a preparare un contrattacco contro le basi di Hamas nella Striscia di Gaza che, una volta iniziato, non si è più fermato e ancor'oggi continua a mietere vittime in modo assolutamente fuori controllo.

Nessuno può mettere in dubbio la terribile crudeltà dell'orribile e vigliacco attacco terroristico di Hamas, ma da uno Stato che si dice democratico ci si aspetterebbe ben altra qualità di risposta di fronte a tale azione. E far finta che tutto sia iniziato il 7 ottobre scorso non aiuta certo a trovare una via d'uscita a questa sempre più intricata vicenda: un conto è la propaganda (che può andare bene per Hamas e Israele), altro un'analisi veritiera dei fatti (che dovrebbe guidare le azioni della comunità internazionale). 

Ecco allora che nessuno può ritenersi senza peccato. I Palestinesi innanzitutto: la loro ondivaga politica nel corso dei decenni ha fatto spesso mancare il raggiungimento degli obiettivi (uno Stato palestinese autonomo e sovrano, riconosciuto dalla comunità internazionale, in grado di gestire la sua sicurezza e di contribuire a garantire quella di Israele). Questa politica inconcludente purtroppo ha dato fiato a quanti vogliono percorrere vie spicce per ottenere ciò che vogliono, mettendo in conto che a pagare il prezzo delle loro azioni criminali saranno pagate da tutti i cittadini. Una leadership palestinese credibile è il presupposto per una soluzione della questione palestinese.

Israele d'altro canto ha il dovere di non lasciarsi trascinare da ideologie teocratiche anacronistiche già da quando furono formulate nel passato (la teoria "dal fiume al mare" non è invenzione Palestinese...) né da ingordigia e sete di rivalsa, ma attenersi a quei principi fondamentali che garantiscono la pace internazionale (o quantomeno permettono che le situazioni critiche non degenerino in conflitti continui). La pacificazione con il popolo palestinese è il fondamento della sicurezza d'Israele, senza questa consapevolezza non ci potrà essere fine alla spirale di violenza e sangue.

La comunità internazionale, infine, che ha creato questo problema, ha il dovere di non nascondersi, ma di operare per trovarne la soluzione. Pensare di lavare la colpa e il sangue di 6 milioni di Ebrei europei uccisi dalla follia nazista dando a questo popolo un suo posto nel mondo, senza rendersi conto che quel posto era già occupato e che sarebbe stato necessario arrivare ad un accordo in maniera preventiva, è stato quanto meno semplicistico. La pretesa occidentale di avere la soluzione per ogni problema, senza guardare alla realtà in modo completo, ha avuto nella questione arabo-israelo-palestinese una dimostrazione assoluta: non è un caso se ha generato una situazione di conflitto semipermanente dal 1946 ad oggi!

Certo, come semplice cittadino mi sento impotente di fronte a tanta violenza ed è difficile non perdere la fiducia che un giorno finirà, ma credo anche che la situazione odierna, per quanto drammatica, possa essere una base da cui partire per sanare le ferite di questi decenni e offrire ai milioni di cittadini israeliani e palestinesi un futuro di pace. Provare a superare la voglia di vendetta che umanamente ci sovrasta davanti a quanto accade dal 7 ottobre scorso è l'unica strada che abbiamo per evitare di ricadere negli errori del passato e per cercare vie nuove. La notizia di elezioni generali nei territori palestinesi è il primo passo verso questa nuova strada. Speriamo che questo nuovo barlume di speranza non venga spento dalla violenza e dal sangue innocente che grida a Dio - che si chiami Jahweh o Allah- giustizia. 


lunedì 15 gennaio 2024

Elezioni europee: bulimia di candidature e penuria di contenuti

 



Mancano sei mesi alle elezioni europee e i partiti sono in fermento per le candidature. C'è chi è alla (disperata?) ricerca di volti e voti come la Lega che smania per avere il generale Vannacci tra le sue fila e chi, come Meloni, pensa di tramutarle in referendum sul proprio consenso candidandosi in tutte le circoscrizioni. Poi ci sono quanti pensano di perdere e stanno tra la paura di metterci la faccia e il desiderio di uno scatto d'orgoglio.

In ogni caso si rischia un sovraffollamento di candidati e una penuria di contenuti, al solito. La solita Italietta direbbe una mia amica, ma proviamo ad analizzare alcune posizioni.

Innanzitutto, se non altro per importanza, la decisione di Giorgia Meloni di candidarsi, pur sapendo che mai lascerà Palazzo Chigi per il Parlamento Europeo. Prima volta che accade. Le elezioni europee sono un modo dove i vari Paesi membri cercano di indicare quale Europa vorrebbero contribuire a plasmare. E la Presidente del Consiglio ha in merito un'idea ben precisa che non coincide con l'Unione Europea che si è andata faticosamente formando in questi decenni. La sua candidatura, unitamente ad una sua vittoria ampia, darebbe forza alla sua idea e a lei la possibilità di usarla come un grimaldello per cercare di portare a casa quei risultati che fino ad ora scarseggiano. La domanda è se ne valga la pena, la risposta è probabilmente no. Sicuramente sarà una prova muscolare ad uso interno (soprattutto interno alla Maggioranza di Governo), ma non dà alcuna garanzia su eventuali risultati futuri, soprattutto se i riferimenti europei del Governo italiano continueranno ad essere Paesi interessati più ai loro obiettivi che alla costruzione di un'idea comune di Europa (qualunque essa sia).

Viene poi la Segretaria del PD, il principale partito di opposizione. Schlein, tentata anch'essa di andare alla conta, si trova nella non semplice situazione di dover dimostrare di essersi meritata la guida del PD e la maratona elettorale può essere un modo per ridare slancio ad un progetto politico mai realmente decollato. Tuttavia, al solito, le beghe interne rischiano di azzoppare una Segretaria già non così galoppante: le correnti e i big vogliono il loro spazio (possibilmente ampio), le donne democratiche non vogliono scivolare giù nei listini (anche se è un non problema visto che la legge elettorale prevede le preferenze, quindi la posizione in lista non pregiudica l'elezione) e il tutto si riduce ad una sterile discussione interna che fa male al Partito e alla Politica. Mezzi leaders incapaci di vedere al di là del proprio tornaconto immediato.

Conte, non si candida e pone una questione morale sulla candidatura dei leaders politici alle elezioni europee. Ci sarebbe da sorridere, se non fosse drammatica la questione morale della politica italiana nel suo insieme. 

Renzi si candida, ma qui è una questione di sopravvivenza. Non del partito, ma del suo smisurato ego. Sarebbe stato un bravo politico se non avesse reso tutto un referendum su sé stesso (e qui Meloni dovrebbe imparare a non fare gli stessi errori).

Gli altri leaders politici non si candidano, non hanno nulla da perdere o da guadagnare da una loro candidatura, quindi ci sta che si tengano fuori da questa diatriba.

Fin qui le persone (alcune, s'intende), ma...i programmi? Che idea di Europa vogliono tutti costoro? Che relazioni stanno intessendo con gli altri partiti europei per il dopo elezioni? Francamente si fatica a capire che posizioni abbiano i vari partiti sui temi dell'Unione, che siano europeisti o euroscettici. In questo grigiore lo status quo pare essere l'unica certezza nell'immediato futuro.

Qualcuno ha buttato il cuore oltre l'ostacolo e già si parla di Draghi (ancora persone ma niente programmi, sic!), prima come Presidente della Commissione Europea, poi come Presidente del Consiglio Europeo; della serie ci serve l'uomo dei miracoli. 

L'Unione Europea si trova in mezzo al guado e nessuno ha finora avuto il coraggio di farle prendere una direzione precisa per mancanza di coraggio e di visione, ma in questa mediocrità si rischia la morte per inedia. Chissà che in questi mesi che ci separano dalle prossime elezioni - che si preannunciano frizzantine assai - non esca qualcuno che abbia anche un progetto per questo continente lasciato alla deriva. 






"In bilico tra santi e falsi dei, sorretto da un'insensata voglia di equilibrio e resto qui"

 


Che la storia della nostra Repubblica sia piena di omissis è risaputo, che nei meandri di questi si celino ferite mai realmente guarite è altrettanto ovvio. Eppure ogni volta ci stupiamo, stolidi, come di fronte ad una cosa nuova e mai vista prima.

Fare i conti con il passato non fa piacere a nessuno, soprattutto quando è ingombro di eventi difficilmente giustificabili e gronda sangue spesso innocente. Eppure non ci può essere nessun passo avanti se prima non si volge lo sguardo indietro per cercare di far pace con quanto accaduto. Il rischio è che il presente (e il futuro) siano schiavi di tale passato irrisolto e si aggroviglino in continue vendette e ripicche che a nulla di buono possono portare.

Quanto accaduto ad Acca Larenzia non è una novità di quest'anno, è un fatto che si ripete sempre uguale a sé stesso da decenni eppure questa volta è finito al centro dell'attenzione mediatica. Cosa è cambiato? Sicuramente non è tornato il Regime fascista e i principi liberali e democratici della nostra Costituzione sono ancora saldi al loro posto (o, almeno, non sono disattesi più di quanto non lo siano stati nelle decadi passate), eppure si è sentito il bisogno di creare una notizia.

Certo, per chi scrive, tali manifestazioni non hanno ragione d'essere all'interno della nostra Repubblica nata proprio dalle ceneri di quel Regime che infiniti dolori causò agli italiani e gettò nell'Ade molte forti vite, ma da qui a farne un caso nazionale il passo è tutt'altro che breve!

Probabilmente la cosa nuova è il primo Governo a guida conservatrice della storia d'Italia. Con un partito di maggioranza relativa e una Presidente del Consiglio dei Ministri che in qualche modo, attraverso una continuità valoriale e simbolica con AN e l'MSI, si ritrovano ad essere vicini - probabilmente troppo vicini - a quella parte di Paese che mai ha saputo/voluto recidere in modo netto i legami con il Fascismo. Per questo so vorrebbero sentire parole chiare, nette, definitive, da parte di chi è chiamato a governare.

Il rischio è che il confronto politico su questo delicato e importante tema diventi la solita baruffa chiozzotta di goldoniana memoria, senza poi produrre nulla di utile e di significativo. Interrogarsi su quali siano le reali radici di queste manifestazioni e tornare alle ferite che nel corso degli anni '70 del secolo scorso hanno dilaniato il nostro Paese, ma che non hanno mai trovato cura, subissate da emergenze sempre nuove in un Paese sempre in subbuglio sarebbe cosa opportuna assai.

Il periodo del terrore e degli attentati terroristici di Sinistra e di Destra non è ancora stato del tutto chiarito e ad ogni piè sospinto emergono ricostruzioni e dietrologie: se è vero che le radici della Destra nazionalista attuale affondano più in quegli anni che in quelli della dittatura, allora è necessario dare cittadinanza alle istanze che essi rappresentano, almeno per amor di chiarezza. Ed è in questa incapacità verso la verità (quella storica, ben s'intende) che emergono santi e dei laici di dubbio gusto, appiattiti su alcuni loro caratteri, scevri dal contesto in cui sono vissuti e usati alternativamente come baluardi o grimaldelli nello scontro con la controparte.

La speranza è che, messo da parte una volta per tutte l'orgoglio, si arrivi a guardare alla storia recente del nostro Paese per quello che è stata, condannando ogni atto di violenza da qualsiasi parte sia venuto, considerando criminale chiunque abbia perpetrato tali violenze e ritenendo non condivisibili gli ideali che hanno armato quelle mani insanguinate. 

Forse ho troppa fiducia nell'uomo, ma continuo a sperarci!  



 

domenica 14 gennaio 2024

"Tra questa immensità s'annega il pensier mio"

 



Un blog nel 2024? Sicuramente un'idea poco innovativa, eppure a volte serve fare un punto, lasciare una traccia per evitare di perdersi all'interno del labirinto del Mondo nel quale come novelli Teseo rischiamo di perderci o, peggio, di annegare travolti dai flutti della tempesta informativa che quotidianamente si abbatte su di noi. 

Un blog come moderno filo di Arianna quindi, una zattera, uno strumento non tanto per arrivare ad uccidere il Minotauro (cosa per altro impossibile nella composita realtà contemporanea dove i minotauri si moltiplicano e si mostrano sempre sotto molteplici forme), quanto per cercare di riguadagnare l'uscita, senza la pretesa di raggiungere la luce del sole, ma almeno riuscire, come nella prima parte del celeberrimo mito della caverna di Platone, ad osservare le ombre alla luce della lucerna, osservando quella parte di mondo che ci circonda con una certa consapevolezza che, sebbene non dia garanzia del raggiungimento della Verità assoluta (ma quando mai è stata raggiunta?), almeno possa offrire un minimo di consolazione e rassicurazione davanti ad una realtà che troppo spesso ci appare malevola e minacciosa.

Un blog di riflessioni, pensieri e idee che non hanno la pretesa di essere depositarie di verità assolute, ma semplici tentativi - aperti al confronto e alla correzione - di mettere un punto su alcune questioni che dal quotidiano colpiscono la mia attenzione e che meritano di essere guardate per qualche momento in più rispetto a quanto la velocità contemporanea solitamente conceda.

Un blog che spero possa essere utile a qualcuno (sicuramente per me lo sarà e già questo è un risultato non disprezzabile) se non altro come spazio per aprire discussioni dove poter assieme cercare di comprendere un po' meglio quanto ci accade attorno.

Buona lettura e spero nella vostra umana comprensione

dott. S.   






Verso un'Europa Nero-Bruna?

  Dopo una primavera ed un'estate di elezioni, ed in vista di un autunno che si preannuncia altrettanto gravido di scelte politiche, alc...