sabato 20 gennaio 2024

Così parla Zarathustra

In queste ultime settimane, notizie curiose giungono dall'Iran. Non mi riferisco ovviamente all'allargamento del conflitto mediorientale al Mar Rosso/Yemen e da ultimo al Pakistan, ma a qualcosa di assai più singolare, almeno agli occhi di noi occidentali.

Sembra (condizionale d'ordinanza) che parte delle proteste che come un fiume carsico percorrono le lande della repubblica islamica riemergendo in alcuni momenti, siano connesse ad un revival dello Zoroastrismo. Per la maggior parte di noi credo che esso sia una lontana rimembranza sepolta assieme all'impero dei Parti o - al più - richiami alla mente il celeberrimo libro di Friedrich Nietzsche e nulla più. Invece lo Zoroastrismo, seppur praticato da sparute minoranze in Iran, India e Pakistan, è ancora vivo e vegeto e alcuni personaggi famosi in tutto il Mondo provengono da questo universo religioso e culturale (basti qui citare Freddie Mercury e Zubin Metha).

Ebbene, in queste proteste - soprattutto quelle animate dalle donne - si proclama un ritorno alle origini, a ciò che, antecedentemente alla conquista araba, era l'Iran. Quasi un tentativo di recuperare il passato  per contrastare il presente in vista di un futuro migliore. È evidente come l'intento sia quello di screditare la classe religiosa degli ayatollah vista come la causa dei mali che attanagliano la società iraniana. Un tentativo sicuramente interessante, soprattutto se dovesse connettersi a qualche frangia del nazionalismo iraniano. Infatti lo Zoroastrismo, lungamente religione predominante dall'altopiano anatolico all'Indo, è stato spazzato via proprio da quegli arabi che hanno imposto l'Islam; non solo, con la caduta dell'impero dei Parti e la conquista araba, l'altopiano iranico, per secoli cuore e fucina di imperi, si è trovato ad essere una regione satellite, perdendo la propria centralità. 

Tornare quindi all'universo religioso-culturale precedente significa anche voler riaffermare l'unicità della storia di quel territorio e la sua funzione di propulsore di identità. L'Iran basta a sé stesso, non ha bisogno di elementi provenienti dall'esterno per darsi una forma compiuta: ha le sue tradizioni, le sue leggi, i suoi sacerdoti, il suo Dio, il suo credo. Tornare a quello, tornare alle origini diventa quindi al contempo forma di liberazione dall'oppressione islamica che da secoli opprime il Paese e riscoprire la vera identità dell'Iran, togliendo tutte quelle incrostazioni che lungo il tempo si sono accumulate.

Una tale prospettiva può realmente essere perseguita e, soprattutto, produrre risultati concreti? Difficile, inutile illudersi. Ma qualcosa si muove, se è vero che il figlio dell'ultimo Scià di Persia si sta muovendo, criticando il regime islamista e facendo preoccupare i vertici politici iraniani (ma sollevando non poche perplessità anche in altri ambienti, anche tra quelli che animano le proteste contro il regime). In fin dei conti l'Iran anche all'interno del mondo islamico ha mantenuto una sua particolare caratterizzazione (è sciita, rispetto alla maggioranza sunnita dell'universo islamico) e si è andato a definire - a partire dalla rivoluzione di Khomeini - in modo alternativo rispetto all'occidente. Ma tale forza interna del regime si basa sulla capacità di mantenersi influente e dare un'immagine di potenza all'esterno (e gli attacchi dei pirati Houti nel Mar Rosso come le frizioni con il Pakistan hanno esattamente questa funzione, così come le minacce ad Israele); cosa succederebbe se tale immagine venisse a traballare? Il regime degli ayatollah potrebbe ancora considerarsi così sicuro di mantenere la presa sul potere politico nella repubblica islamica? 

Certo, un antico e sapiente adagio recita: "con i se e con i ma la storia non si fa", eppure chissà cosa ci potrà riservare il futuro. Che sia vicino il tempo di un nuovo Zarathustra?
 

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