martedì 23 gennaio 2024

Ferisce più la lingua che la spada

 



Queste ultime settimane hanno messo nuovamente al centro dell'attenzione l'uso dei social e, in particolar modo, del linguaggio che utilizziamo quando li frequentiamo. Al di là di specifici fatti di cronaca, ritengo che più in generale sia importante riflettere sulla violenza gratuita che circola nei social, quasi che tutta la rabbia repressa che incameriamo nella vita reale poi non aspettiamo altro che riversarla in queste relazioni virtuali, come se oltre lo schermo non ci fossero altre persone in carne e ossa.

L'idea di aver creato queste piazze virtuali nelle quali sentirsi liberi di esprimersi come si vuole, senza badare all'altro (semplicemente perché non lo si vede) è una degenerazione abbastanza grossolana di quella china che già si era intrapresa e che aveva colpito diversi ambiti della società (dalla politica ai giornali al lavoro) nei quali spesso si travalica la buona educazione e si arriva gratuitamente ad insultare la controparte.

Alla base di questi atteggiamenti spesso vi è una pochezza di argomenti per ribattere fattivamente a chi la pensa diversamente da noi, tuttavia altre volte, nonostante la presenza di argomenti con cui argomentare il proprio pensiero, si preferisce alzare il tono o esprimersi con un linguaggio colorito con l'intento di dare forza maggiore al proprio argomentare. Ovviamente nulla di più sbagliato: la validità di un'idea non si basa sul tono di voce con cui viene espressa e nemmeno dal registro linguistico con cui viene formulata. O forse si?

Alcune strategie comunicative - utilizzate spesso ad esempio nei salotti televisivi - mirano a togliere spazio all'altro, a renderne difficoltosa la comunicazione, a interromperne il ragionamento, a sovrastarne la voce. In questo contesto non prevale l'idea migliore, ma quella che viene espressa con più violenza. Ecco, siamo una società che si sta abituando alla comunicazione violenta, scambiando tale veemenza per la loro forza. Ma non è così: la forza delle idee risiede nella loro ragionevolezza, nella fondatezza dei presupposti sui quali si fondano, sulla loro capacità di spiegare compiutamente un aspetto, non nella brutalità con la quale vengono espresse.

Per riuscire a dare corpo ad un pensiero però serve tempo e spazio e questi due elementi divengono sempre più rari e, soprattutto, sono estranei al mondo dei social dove mi viene richiesta una assoluta (ed assurda) sinteticità: una frase, una foto, un solo elemento per volta. Ecco che allora, per sopperire a questa pochezza di spazio e di tempo, ci sentiamo autorizzati ad alzare il tono, ad esprimerci come magari non ci esprimeremmo se ci trovassimo di persona. 

Questa violenza sta entrando nel nostro quotidiano e sta distorcendo il nostro modo di esprimerci. Forse, quanti hanno la possibilità (data dalla visibilità) dovrebbero assumersi la responsabilità di fungere da esempio nel ritorno ad una comunicazione maggiormente rispettosa dell'altro e tutti noi dovremmo riprenderci il tempo e lo spazio della comunicazione che questa società sembra volerci rubare, nella frenesia di un'eterno presente fatto di istanti successivi sconnessi tra loro e assolutamente insignificanti perché privi di contenuto.

1 commento:

  1. A questo si aggiungono tutti coloro i quali (tendenza abbastanza frequente su Threads negli ultimi tempi) in mancanza di capacità argomentativa e non avendo elementi per sostenere la loro tesi, si limitano a ripetere ossessivamente un solo slogan.

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