venerdì 9 febbraio 2024

Ricordo e Vergogna

 




Domani, 10 febbraio, sarà il Giorno del Ricordo, un momento in cui "conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale" (L.92 30/03/2004). Questo esodo fu l'ultimo colpo di coda che come Paese abbiamo subito a seguito della sconfitta nella II Guerra Mondiale, ma è fuorviante credere che abbia avuto origine in quel contesto bellico o nell'immediata vicinanza allo scoppio della guerra. Le radici che hanno portato a quella tragica conclusione (tragedia nella tragedia) sono molto più profonde e partono da lontano. Almeno dalla mattina del 12 maggio 1797 in cui i soldati schiavoni lasciarono Venezia dopo che il Doge Ludovico Manin si era arreso senza combattere all'invasione napoleonica.


Dalla primavera di quell'anno infatti l'Adriatico, da tempo immemore unito, si ritrovò diviso: le sue sponde esprimevano ora - ed esprimono tutt'oggi - identità diverse che non hanno saputo negli anni costruire una memoria condivisa e che, anzi, hanno cercato di affermarsi attraverso la negazione dell'altro. Maestra in questa via fu l'Austria, subentrata a Venezia nel dominio della costa orientale dell'Adriatico: nel tentativo di sradicare i secoli di relazioni con Venezia legò sempre più strettamente a sé quei territori incentivandone la componente slava. Quel legame reciproco che aveva connesso intimamente Istria (lo Scudo della Dominante), la Dalmazia e Venezia veniva ora declinato come mero atto di colonialismo da rigettare, una catena da spezzare (nel momento stesso in cui gli artigli dell'aquila asburgica facevano sempre più stretta presa nei Balcani e avrebbero da lì a un secolo trascinato il Mondo nel primo conflitto mondiale).


La Grande Guerra sembrò la via più facile per ricomporre le fratture e risolvere le questioni in sospeso. Ma i Balcani del 1918 non erano più quelli che cercavano di riscattarsi dal dominio ottomano e il Regno d'Italia era altro dalla Repubblica di Venezia, si parlò così di vittoria mutilata (maledetto D'Annunzio!) visto che i sogni di conquista italiana in Istria e Dalmazia vennero infranti. Fu un brusco risveglio: la realtà stava bussando alla porta d'Italia, ma noi italiani preferimmo cullarci nelle sinuose spire delle parole del Vate e, una volta consegnato il nostro destino al Duce, credemmo fosse giunto il momento della legittima riunificazione di quelle terre irredente alla Patria natia. Poveri illusi.


Le estreme conseguenze della dittatura fascista e della II Guerra Mondiale ci rivelarono quanto ci fossimo sbagliati! Quelle terre che credevano nostra proprietà lottarono con tutta la loro forza per liberarsi dall'abbraccio mortale con cui le tenevamo avvinghiate. E a pagarne il tributo di sangue fu, come sempre, la povera gente. Le violenze del Regime, della guerra e dei vincitori si abbatterono sulla popolazione con una crudeltà disumana. E a noi, italiani di qua del confine, toccò guardare in faccia la cifra della nostra sconfitta. Ma, ancora, non volemmo fare i conti con la Storia.


Gli esuli, frutto della nostra follia, portarono anche il peso della nostra vergogna. Noi dovevamo arrossire davanti a loro, eppure furono loro ad essere mal sopportati dai bravi italiani: ci ricordavano la sconfitta ed un Paese uscito distrutto da una guerra civile che si era inserita nella guerra mondiale non aveva bisogno di altri motivi di disperazione; c'è n'erano già più che a sufficienza. Così gli esuli istriano-dalmati furono cancellati dalla nostra storia (per essere forse da qualcuno riesumati decenni dopo per cercare una foglia di fico dietro cui nascondersi davanti alla vastità del male fatto che la Giornata della Memoria ci ricorda).


Non voglio entrare nelle dinamiche di approvazione della Legge 92 del 2004, tuttavia questo giorno sia per noi non motivo per acuire la divisione tra le due sponde dell'Adriatico, quanto occasione per guardare finalmente in faccia la Storia, per sederci attorno ad un tavolo tutti - italiani, sloveni e croati - a scrivere finalmente una narrazione condivisa dell'ultimo secolo e mezzo della nostra vita assieme, con le sue gioie e i suoi dolori.




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