martedì 30 aprile 2024

La Liberazione, festa di tutti

 


L'ultima settimana di aprile e l'inizio del mese di maggio sono un periodo un po' particolare, ricorrono infatti due importanti festività civili che caratterizzano la nostra Repubblica democratica: la festa della liberazione celebrata il 25 aprile e la festa del lavoro che ricorre il primo maggio.

Da sempre il 25 aprile è stato vissuto da una parte del panorama politico italiano e dai cittadini che da essa si sentono rappresentati come una festività divisiva. Quasi che fosse un momento celebrativo solo dei partigiani, identificati in blocco con il partito comunista. Una festa perciò da cui la Destra è di fatto esclusa, anzi, è una festa da intendersi contro la Destra.

Ovviamente nulla di più sbagliato. E i motivi sono assolutamente evidenti: tra le varie compagini partigiane presenti nel nostro Paese si ricordano gruppi afferenti a diversi pensieri politici, ovvero comunisti, azionisti, monarchici, socialisti, democristiani, liberali, repubblicani e anarchici. Una varietà di appartenenze che ben esprime come ridurre la Resistenza a qualcosa di Sinistra sia semplicemente assurdo. Non solo, nella II guerra mondiale, a scontrarsi con i regimi fascisti non fu solo l'Unione Sovietica comunista, ma la Francia, la Gran Bretagna e gli USA guidati da governi non proprio identificabili con correnti di pensiero di Sinistra. Ciò significa che se una parte della Destra italiana si sente esclusa dalla Festa della Liberazione, vuol dire che probabilmente non si ritrova all'interno di una delle componenti che a quella liberazione hanno contribuito.

Anche il dirsi antifascisti non significa dirsi comunisti o di Sinistra: l'antifascismo è semplicemente la base da cui è nata la nostra Democrazia. La Repubblica italiana è sorta dalle macerie della II guerra mondiale e del regime fascista che per più di vent'anni ha guidato il Paese imponendo la propria visione in modo antidemocratico. Essere antifascista in Italia significa essere democratico, condividere i principi fondamentali su cui si fonda il nostro vivere assieme. Nulla di più, ma nulla di meno! 

In queste settimane è venuto a galla un nuovo termine: definirsi afascisti. Un'alternativa di Destra all'antifascismo. Lasciando da parte una certa dose di ridicolaggine rispetto a questa dinamica (da asilo infantile) è singolare che sia proprio il prefisso 'anti' ad essere problematica, meglio una generica α privativa che non richiede una partecipazione e una adesione attiva. Sì, perché definirsi antifascisti richiede di adoperarsi in prima persona - ciascuno secondo le proprie capacità e in base agli ambienti di vita - affinché certe dinamiche limitative dell'espressione personale di ognuno non si ripresentino. Essere afascisti invece ci permette il lusso di rimanere in panciolle mentre il mondo attorno a noi brucia. Ed è quello che ha fatto la borghesia liberale un secolo fa.

Al termine di un'epoca di grandi sconvolgimenti (che idealmente comprende tutto il lungo '800 partendo dalla Rivoluzione francese e concludendosi con la I guerra mondiale) e davanti alle conseguenze disastrose ed impreviste del conflitto mondiale, la borghesia e gli ambienti liberali pensarono di trovare nelle squadre fasciste l'antidoto al diffondersi del comunismo nell'Europa occidentale. Credevano, sbagliandosi, di poter governare il fenomeno e che si sarebbe sgonfiato nel momento in cui si sarebbe esaurita la spinta socialista. Invece a sparire furono proprio le democrazie liberali fagocitate prima dalla diffusione dei fascismi in gran parte del Continente e poi dall'orrore della II guerra mondiale.

Il mondo uscito dal secondo conflitto mondiale è radicalmente diverso da quello che ci è entrato: la partecipazione di massa a quella immane disavventura ha dato nuova coscienza a tutte le componenti sociali e ha portato alla nascita di repubbliche democratiche fondate su principi radicalmente diversi dai regimi liberali di inizio '900. Il suffragio universale, l'uguaglianza, la libertà (di stampa, di pensiero, di associazione...) i diritti civili divennero un patrimonio comune a cui difficilmente potremmo rinunciare. Ma serve rimanere vigili: essere diventati cittadini partecipi della gestione del Paese ci richiede di agire con coscienza, in stile antifascista, a protezione della nostra Democrazia, il nostro bene più grande e prezioso. 




domenica 21 aprile 2024

Pecunia non olet... forse...

 


Nelle ultime settimane diversi scandali giudiziari hanno sconvolto la politica in diverse regioni italiane. Alcuni politici locali sono finiti sotto inchiesta per aver tenuto comportamenti al di fuori della legge in occasione di passate elezioni. Nulla di nuovo: sono almeno 40 anni che ciclicamente emergono questi fatti assai poco edificanti nella classe politica del nostro Paese. Tuttavia, assistendo al dibattito che in questi giorni si è venuto a creare, credo che un punto meriti maggiore attenzione. 

La riflessione, nei vari talkshow politici, si è concentrata principalmente su due aspetti: il primo relativo alla selezione della classe dirigente che i vari partiti operano al loro interno e, collegato a questo, i fatti di cronaca giudiziaria che hanno portato diversi politici a dover fare un passo indietro o verso le patrie galere. Manca però una riflessione sui fatti in sé stessi: la Magistratura indaga sui singoli fatti e cerca di giungere ad una ricostruzione il più fedele possibile della realtà per poter giudicare se sia stato compiuto un illecito o meno. Ma non spetta ad essa offrire contestualmente una riflessione complessiva sul significato di tali reati all'interno della nostra democrazia, questo compete alla politica. 

Volendo provare a dare un senso a quello che emerge, credo sia importante non fermarsi al solito dito, quanto alzare lo sguardo e osservare la luna. Uno degli aspetti emersi (non nuovo, a dire il vero) è stato quello che alcuni politici offrivano 50 euro in cambio del voto. Che significato dare a questo fenomeno? Probabilmente una parte di questi elettori si trova in situazioni di ristrettezza tali che quella misera somma può fare la differenza, ma altri sicuramente avranno pensato che 50 euro per mettere una croce su un mone in fin dei conti non era poi così male. Ecco allora che quella somma è il valore che questi elettori danno alla nostra democrazia: uno spettacolo così indecente che per andarlo a vedere sono i protagonisti a pagare gli spettatori e non viceversa! 

Ma qual è la differenza tra questi soldi offerti agli elettori o accordi sul numero di farmacie di un paesello siciliano e le promesse elettorali che ogni partito fa? veramente c'è una differenza sostanziale tra la promessa di non toccare le concessioni balneari o le licenze dei tassisti o il fatto di introdurre il reddito di cittadinanza o nuove assunzioni a pochi giorni dalle elezioni e gli illeciti commessi dai politici finiti sotto indagine in questi giorni? I manifesti elettorali della DC che recitavano "Dio ti vede, Stalin  no" con il loro ricatto morale erano più innocenti dei 50 euro promessi oggi? Certo, non mi sfugge la differenza sostanziale che un conto è fare una promessa pubblicamente e muoversi alla luce del sole, altro muoversi nell'ombra e tramare sotto banco per acquisire pacchetti di voti. Ma fino a che punto i politici sono pronti a spingersi pur di vincere?

Immaginare che quanti si dedicano alla Res Pubblica siano disinteressati e lo facciano esclusivamente per il Bene Comune è una pia illusione. Questo non significa che la politica sia fatta da uomini e donne privi di scrupoli, semplicemente un conto è l'ideale cui la maggioranza di essi tende, altro quello che poi realmente riescono a fare, pagando dazio alla loro umanità. Nessuno di essi si candida per perdere! Cercare dei modi per vincere ammaliando gli elettori fa parte del gioco politico e a volte si rischia. I responsabili dei vari partiti sanno che affidarsi a delle personalità che attirano moltissime preferenze probabilmente li esporrà al rischio di trovarsi poi invischiati in giochi poco chiari; allora perché lo fanno? Proprio per cercare di superare gli avversari, perché sono convinti che il loro programma sia migliore di quello degli avversari e che il cedere a qualche personaggio chiacchierato non inficerà la validità del loro progetto politico. 

Nulla di più sbagliato. Questo tipo di candidature infatti rischia di far perdere di credibilità la politica nel suo insieme: che valore può avere una lista in cui sono presenti persone che hanno cambiato ripetutamente casacca senza nessuna apparente motivazione? Diventa evidente che l'unico motivo per cui sono inseriti nelle liste è la loro capacità di attrarre voti e preferenze. Ma che fine fa allora la progettualità politica e l'adesione ad un programma di governo? Ovviamente passano in secondo piano e questo gli elettori lo capiscono. Allora tornano buoni i 50 euro: se devo andare a votare per qualcuno che già so non farà cambiare nulla nella mia vita, almeno che ne abbia un beneficio, piccolo se vogliamo, ma meglio di niente.

Questo è un problema che da sempre si riscontra nelle democrazie: fin dall'antichità la necessità di muovere masse di cittadini elettori ha solleticato la fantasia dei vari capipartito. Delazione, corruzione, accordi sottobanco, voltafaccia e cambi di casacca, promesse (poi puntualmente deluse e reiterate) fanno parte di quella che ancor'oggi rimane la migliore forma di governo che conosciamo. Tuttavia non possiamo e non dobbiamo come cittadini rassegnarci a questo modo di fare. Dobbiamo pretendere la massima correttezza possibile da quanti si propongono per gestire la cosa pubblica. E abbiamo il dovere di partecipare in prima persona alla politica, solo così potremmo limitare l'influenza di questi figuri alquanto discutibili e rendere la loro influenza inutile.
        

venerdì 19 aprile 2024

Idealismo e realtà

 


Nei giorni scorsi, guardando un TG, ho visto un servizio che presentava l'apertura di una mostra dedicata a Giovanni Gentile, filosofo neoidealista italiano, padre dell'omonima riforma scolastica del 1923 e membro convinto del Partito Fascista. Non è mia intenzione in questo frangente discettare sul profilo di colui che resta una delle principali figure filosofiche del '900 nel nostro Paese, ma mi offre l'occasione di parlare di scuola. Il servizio infatti chiudeva con un accenno alla qualità della scuola italiana, a seguito della riforma gentiliana.

L'intervento di Gentile fu una riforma organica del sistema scolastico italiano, rimasto in vigore in maniera immutata fino al al 1962 (ben oltre quindi l'avvento della Repubblica e del ritorno della democrazia in Italia). I principi dai quali mosse tale intervento furono antidemocratici, antimoderni ed elitari, soprattutto per quanto riguarda l'istruzione superiore: essa doveva essere riservata esclusivamente agli studenti migliori o appartenenti a famiglie facoltose (la qual cosa spesso coincideva, visto che l'assoluta maggioranza degli studenti che proseguivano gli studi apparteneva a famiglie agiate, indipendentemente dalle capacità personali).

Due frasi del filosofo-ministro possono chiarire meglio il concetto: «Gli studi secondari sono di lor natura aristocratici, nell'ottimo senso della parola: studi di pochi, dei migliori; perché preparano agli studi disinteressati scientifici; i quali non possono spettare se non a quei pochi, cui l'ingegno destina di fatto, o il censo e l'affetto delle famiglie pretendono destinare al culto de' più alti ideali umani». E ancora: «Alla domanda, un po' irosa: - Come si fa a trovar posto per tutti gli alunni? - io rispondo: - Non si deve trovar posto per tutti. - E mi spiego. La riforma tende proprio a questo: a ridurre la popolazione scolastica». I valori propugnati agli scolari erano i seguenti: rispetto della legge, ordine, disciplina e obbedienza all'autorità dello Stato (ovviamente allo Stato totalitario Fascista).

Ovviamente questi concetti sono ad oggi assolutamente incondivisibili e insostenibili. Ma cosa rimane di questa riforma nel profondo dell'animo di noi italiani? Perché se da un lato quasi nulla rimane di quanto operato da Gentile nella scuola, dall'altro probabilmente abbiamo interiorizzato alcuni principi che ancora oggi - 100 anni dopo - sono duri a morire e ad essere superati. Come mai, ad esempio, consideriamo ancora oggi l'istruzione liceale superiore a tutte le altre possibili scuole superiori? E perché tra i licei consideriamo ancora il Classico come il liceo per antonomasia? Come mai gli Istituti Professionali sono diventati il rifugio/ripiego di tutti quegli studenti che gli altri Istituti di Istruzione Superiore non riescono a gestire? E cosa dire dei CFP triennali? E chi ha deciso che alcune discipline (Greco e Matematica ad esempio) sono più nobili di altre? Qual è il senso di aver snaturato alcuni percorsi liceali per piegarli a logiche che non gli appartengono (si pensi ad esempio al liceo sportivo o al liceo scientifico tecnologico)? Potrei continuare, ma credo sia chiaro il punto.

La scuola, ad oggi, si trova a vivere un momento di grande travaglio e di difficoltà nello stare al passo con le esigenze del mondo contemporaneo e, in una società che sembra ragionare secondo uno schema binario, può sembrare che abbia perso parte della sua centralità. Bisogna allora allontanarsi dal contingente e guardare il tutto in prospettiva: compito della scuola è quello di concorrere alla formazione dell'uomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla Costituzione. A partire da questo, l'articolo 3 della Costituzione afferma che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Garantire il pieno sviluppo della persona umana è uno dei compiti della Repubblica e la scuola è lo strumento primario attraverso il quale questo può avvenire. Per tutti. Siamo lontani anni luce dal pensiero di Gentile.

Ma la realtà non è così facile: cosa vuol dire pieno sviluppo della persona? Come la scuola può divenire un valido aiuto in questo? Ha ancora senso la scuola così com'è? La scuola è pronta ad affrontare le sfide dell'uomo del XXI secolo? Come possiamo evitare che la scuola diventi un percorso di sofferenza per alcuni dei nostri studenti? La scuola gentiliana ha avuto sicuramente alcuni meriti e aspetti positivi, tuttavia non può essere un punto di riferimento per la scuola del presente e - soprattutto - del futuro. Per cui guardare al passato non serve a molto, se non ad escludere percorsi già vissuti. Serve una nuova riforma che trasformi in modo organico tutto il sistema scolastico italiano (che dopo le molte riforme parziali delle ultime legislature è assai sconquassato e contradditorio al suo interno), ma al momento non si vede all'orizzonte un simile intento. Nel mentre, probabilmente, il primo passo che potremmo fare noi cittadini sarebbe quello di cominciare a smettere di fare una distinzione valoriale tra i vari percorsi di scuola secondaria e vederli come strade attraverso le quali ciascun ragazzo comincia a scoprire e ad esprimere le proprie capacità, abilità e potenzialità. Un primo, piccolo passo che avrebbe il pregio di superare tanti luoghi comuni che spesso sono il primo ostacolo che gli studenti devono superare, prima ancora di iniziare il loro percorso.

lunedì 15 aprile 2024

Homo Homini Lupus

 


Per formazione e indole sono sempre stato portato a pensare all'essere umano come buono e rivolto naturalmente al bene, tuttavia gli ultimi anni mi hanno portato a rivedere questa idea e ad approdare ad un'immagine meno lusinghiera.

All'inizio dell'epidemia di covid i balconi si sono riempiti di striscioni con frasi che ci ricordavano che ne saremmo usciti migliori; in quel clima surreale pareva emergere il volto più umano di molti di noi: quella disponibilità a condividere nonostante le restrizioni, ad alleviare la durezza del lockdown sembravano confermare che avremo superato quella bruttissima esperienza grazie all'affinamento delle nostre migliori qualità. Anche il tentativo delle autorità di sottolineare come la distanza fisica necessaria non fosse lontananza emotiva e relazionale dall'altro indicava proprio che il legame che ci tiene insieme era più forte di qualsiasi male. Invece non è andata proprio così...

Gli striscioni sono sbiaditi, i balconi sono tornati al loro consueto mutismo e tutti noi ci siamo fatti attanagliare dalla paura di quella pandemia che sembrava non voler lasciarci tornare alla nostra vita. In questa condizione ci siamo persi la parte migliore di noi, o meglio, abbiamo gettato quella maschera che solitamente per convenienza civile indossavamo e abbiamo rivelato il nostro vero volto. L'astio e quasi l'odio rivolto verso coloro che hanno faticato ad adeguarsi e a comprendere le regole in vigore durante la pandemia è stato il primo campanello d'allarme: in quella situazione dividersi tra provax e novax e litigare tra noi, perdendo di vista che in ogni caso eravamo persone, è stato deleterio e ha logorato il tessuto sociale più della pandemia stessa. 

Ciò che è emerso in modo dirompente è stato l'istinto di conservazione proprio di ciascuno di noi: il vaccino è stato visto come la salvezza e la soluzione ad ogni male e, conseguentemente, coloro che erano contrari erano visti come gli untori e nemici pubblici. Viceversa coloro che erano contrari al vaccino hanno visto tutte quelle regole come un'indebita e intollerabile intromissione dello Stato nelle loro vite e i provax come dei servi del sistema da cui rifuggire con orrore. Ognuno aveva qualcosa che voleva preservare ed era pronto a difenderlo con le unghie e col coltello tra i denti. 

L'effetto successivo, complice il lockdown, è stata una certa involuzione dei rapporti intersoggettivi e sociali: ci siamo accorti che in qualche modo riusciamo a bastare a noi stessi e che l'altro ci richiede uno sforzo di comprensione che probabilmente ad oggi non siamo più così sicuri di voler fare. Il fatto che molte realtà sociali si siano trovate in sofferenza per la mancanza di partecipazione attiva a seguito del periodo pandemico è un'amara realtà che ci mostra come un certo senso di autosufficienza si sia diffuso nel corpo sociale. 

Se a tutto questo aggiungiamo le notizie che ci arrivano quasi quotidianamente dalla cronaca nera o dai vari scenari di crisi e di guerra internazionali comprendiamo bene come quel 'ne usciremo migliori' sia stato un puro auspicio andato fin troppo presto disatteso.

Allora, aveva ragione Hobbes quando affermava che homo homini lupus? Non credo, ritengo piuttosto che questi anni ci abbiano fatto fare un passo in avanti in quel percorso che l'età contemporanea aveva già iniziato, ovvero all'assolutizzazione dell'Io e alla contemporanea sparizione del Noi per privilegiare un Tu/Voi da intendersi non come fratello o compagno, quanto piuttosto come qualcuno da cui guardarsi e da intendere come un individuo a me concorrente.

Quali possono essere le soluzioni a questa deriva? Francamente non ne vedo molte; la politica - che in un sistema democratico dovrebbe essere la prima barriera contro questo sbandamento - non ha né la forze né la credibilità per sostenere una riscossa della dimensione sociale e comunitaria, anzi alcuni tra i partiti più importanti svolgono ruolo da capofila nella diffusione di una mentalità sempre più egoistica ed egocentrica. Rimane quindi il mondo dell'associazionismo, ultimo baluardo che ci aiuta a vedere nuovamente l'altro come un Tu/Voi che non vuole togliere nulla a noi, quanto piuttosto offrirci la ricchezza della sua persona, in una comunione di persone, di ideali e di valori allo scopo di costruire un mondo migliore per tutti.

Forse anche questa mia ultima speranza è un modo per indorare un mondo che in realtà è più crudo di quanto voglia ammettere, ma non sono ancora pronto ad arrendermi ad un mondo triste, grigio e accigliato dove egoismo e egocentrismo sono i valori fondanti e più alti da vivere e propugnare.

domenica 14 aprile 2024

Questione morale

 





Le vicende di queste ultime settimane in Puglia e Piemonte hanno riportato alla ribalta la questione morale della politica, soprattutto a Sinistra. Berlinguer nell'ormai lontano 1981 diceva che "la questione morale è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle Istituzioni, l'effettiva governabilità del Paese e la tenuta del regime democratico". Alla luce di tutti questi anni possiamo affermare tristemente che tale questione non sia stata risolta, da nessuna delle forze politiche che nel corso di questi 40 anni si sono succedute nel panorama politico del Paese.

Come mai? Cosa ha frenato la politica dall'affrontare a muso duro questa questione, soprattutto dopo gli scandali legati a Tangentopoli e alla mai ben chiarita trattativa tra Stato e Mafia? E perché tale questione sembra attanagliare e sfregiare soprattutto la Sinistra? A leggere i giornali sembra sempre il solito copione che si ripete: un forza politica per mantenersi al potere (o cercare di raggiungerlo) si affianca a figuri dalle frequentazioni poco raccomandabili e affida ad essi il compito di raggiungere il risultato sperato, salvo poi scoprire - tramite le indagini della magistratura - che le modalità utilizzate non erano proprio democratiche e lecite. Scandali più o meno gravi che a turno hanno colpito tutte le forze politiche, ma nessuna di esse ha mai voluto o avuto il coraggio di tranciare di netto con queste modalità operative. 

Sia chiaro, non significa che tutto il sistema politico sia marcio o che tali personaggi siano così influenti da determinare l'andamento della politica nazionale, ma un legittimo dubbio su quanto effettivamente siano influenti rimane e questo non facilita certo la fiducia nei partiti e nelle istituzioni da essi guidate, che siano locali o nazionali. I punti sottolineati da Berlinguer rimangono ancora tutti in campo: la disaffezione dalle elezioni indica proprio la mancanza di fiducia nelle istituzioni dei cittadini, nell'intima consapevolezza che il loro voto è inutile in quanto è tutto già deciso da altri, che la politica sia solo un teatrino, ma che poi non cambi molto tra questo o quel capo politico e partito. Queste impressioni, probabilmente errate ma ben radicate nel Paese, ci restituiscono un'immagine in chiaroscuro del nostro sistema democratico.

Tali riflessioni agitano da sempre soprattutto la Sinistra italiana in quanto negli anni si è venuto a costruire il mito della superiorità morale di questa parte politica rispetto alle altre. Ma da dove trae origine tale mito (perché di mito si tratta)? Nel corso dello tsunami che ha travolto la cosidetta Prima Repubblica, il PCI ne uscì quasi indenne, tuttavia credo che tale illibatezza sia dovuta più al fatto che non arrivò mai al governo del Paese più che ad anticorpi congeniti presenti nelle persone che lo guidarono ai vari livelli: il fatto di non gestire grosse fette di potere lo mise nella condizione di non dover chiedere ed offrire favori ad alcuno per cui ne uscì con le mani (quasi) pulite. Tuttavia il fatto di non essere stato travolto come gli altri principali partiti (DC e PSI) rafforzò l'immagine di una Sinistra italiana impermeabile ai mali del Paese e quindi superiore moralmente a tutti gli altri contendenti. Se poi ripensiamo a tutti i processi che ha dovuto affrontare Silvio Berlusconi, leader della Destra italiana negli ultimi 30 anni, appare evidente come tale superiorità morale fosse usata dai partiti eredi del PCI come una sorta di patentino per distinguere la buona politica (la loro) dalla cattiva politica (quella di Berlusconi).

Tempo fa un politico disse che la classe politica non dev'essere migliore dei cittadini di un Paese, ma esattamente loro immagine essendo loro espressione. Io credo invece - probabilmente in un eccesso di romanticismo - che chi fa politica debba essere espressione della parte migliore della cittadinanza. Un politico beccato con le mani nella marmellata non scredita solo sé stesso, ma l'istituzione di cui fa parte e danneggia la democrazia che diceva di voler servire. E qui si viene al punto: se sei un politico di quella parte, la Sinistra, che da sempre dice di essere a servizio di coloro che sono i più svantaggiati della società risulta ancora più odioso scoprire che invece di servire ti sei avvantaggiato della situazione e per giunta in modo poco limpido. Ecco quindi che la questione morale, per tutta la politica, ma soprattutto per la Sinistra diventa una questione di sopravvivenza: senza una specchiata credibilità morale con che coraggio ci si può presentare ai cittadini?

Certo, mi si può obiettare che l'asticella è troppo alta e che in partiti così grandi e presenti in tutte le istituzioni del Paese sia normale che qualche mela marcia ci sia. La questione a mio avviso non è l'assenza di individui scorretti, ma che una volta scoperti siano messi in condizione di non nuocere al Paese e alle Istituzioni che incarnavano. Forse mi illudo, forse credo in un mondo che non esisterà mai, ma rimango fermamente convinto che solo questa tensione verso il meglio sia l'unica strada percorribile per ridare alla nostra stanca democrazia nuova forza e nuova vitalità.
  






mercoledì 3 aprile 2024

Purgatorio Italia

 





«Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!»

(Purgatorio, canto VI, vv. 76-78)


Questi versi di Dante, scritti ormai più di 700 anni fa, sono sempre validi. Ieri era lo scontro tra la Lega dei Comuni, l'Imperatore germanico e il Papa, oggi le diverse scaramucce tra le varie forze del Paese: sempre nave sanza nocchiere e sempre in gran tempesta. Un bel bordello!

La questione principale è quella della mancanza di visione politica a medio e lungo termine. Il nocchiere non è da intendersi come l'uomo (o la donna) della provvidenza, ma come quella politica capace di tratteggiare una rotta sicura in cui far navigare il Paese, tuttavia, se si è sempre in campagna elettorale diventa difficile poter costruire questo percorso. E la situazione internazionale non aspetta certo le lungaggini del nostri sistema istituzionale (o di quello europeo) per sottoporci le sue crisi. Il rischio è che prima o poi si scateni la tempesta perfetta che faccia affondare la nave e noi con essa.

Ci sono alcuni pensieri che mi frullano in testa da un po' di tempo: possibile che, pur nel cambio dei Governi e delle Maggioranze le linee fondamentali della politica rimangano praticamente identiche? Che governino Draghi, Meloni, Conte, Renzi o Gentiloni la sostanza non cambia. L'impianto generale delle politiche rimane lo stesso. E sostanzialmente si concretizza in tagli, mance e nuove tasse. Togliamo il superbonus, ma facciamo qualche condono fiscale, riduciamo i finanziamenti alle politiche sociali o alla sanità e al contempo offriamo qualche mancia a questa o quella categoria specifica. Non è solo una questione - già messa in musica qualche decennio fa - di cos'è Destra e cos'è Sinistra, ma proprio di avere in testa un progetto, di qualsiasi tipo.

Come cittadino mi piacerebbe allora che i vari leaders politici si esprimessero chiaramente rispetto ad alcuni temi, mettendo da parte tecnicismi e i discorsi per rabbonire e ammansire le folle:
1) la sanità pubblica...cosa ne facciamo? Perché se Lombardia e Veneto sono fiori all'occhiello in merito, altro che bordello! Liste d'attesa infinite, ospedali chiusi, mancanza di medici sono tutti incentivi indiretti verso la sanità privata, ma non sono certamente a costo zero.
2) scuola, università e ricerca: ci crediamo nella formazione? vogliamo investire nel futuro del nostro Paese o ci lamentiamo dei cervelli in fuga e al contempo approviamo classi pollaio? Integrazione e lotta contro ogni forma di disagio non si fanno solo a parole, servono fondi, personale e progetti precisi. Dove reperire tali risorse? Probabilmente serve una riforma complessiva del sistema, ma per andare verso dove?
3) il mondo del lavoro: salario minimo, contratti, ammortizzatori sociali...riusciamo a mettere ordine in questa selva oscura o preferiamo continuare a nasconderci e dare la colpa ai governi precedenti? Come rendere attrattivo il nostro Paese e come sostenerne il sistema produttivo senza dover continuare a versare milioni nelle casse di società industriali perennemente in crisi e incapaci di restare all'interno dell'economia di mercato?
4) per quanto riguarda l'economia e il bilancio dello Stato riusciamo ad avere un piano credibile di riduzione del debito, di lotta all'evasione e all'elusione fiscale, di dismissione di tutte le pratiche di bonus vari per costruire un'azione complessiva? Possibile che non sia possibile rivedere il quadro globale del bilancio dello Stato andando al di là dei tagli lineari? Quali sono i punti centrali su cui puntare le (poche) risorse a disposizione per rilanciare l'economia del Paese? Come pensiamo di sostenere questo sistema produttivo e di vita? Quali energie pensiamo di utilizzare? la transizione ecologica come la vogliamo fare (se la vogliamo fare)?
5) La giustizia nel nostro Paese procede a rilento e la mole di leggi presenti nel nostro ordinamento rende tutto molto fumoso. A quando una riforma che non sia 'ad cazzum' ma complessiva del sistema, per cercare di aggredire i gangli problematici e darci una giustizia degna di tale nome, che inchiodi i furbetti (oltre che i criminali) e non li lasci liberi di continuare a operare solo perché muniti di bravi avvocati in grado di piegare la legge a loro favore.
6) Siamo una penisola protesa nel mare ed esso è la prima linea della nostra politica estera. Il nostro ruolo nel Mediterraneo e in Europa, idee in proposito? Magari con un po' più di concretezza (= soldi anche) del fantomatico "Piano Mattei" che non ha - al momento - né capo né coda. Quali partnership consideriamo strategiche all'interno dell'UE, nella zona mediterranea e nel Mondo? La cooperazione internazionale, quali finalità e quali risorse?
7) Il Parlamento sta lavorando attorno ad una riforma parziale della Costituzione. Quale sistema istituzionale si ha in mente di costruire? Si dice che abbiamo la Costituzione più bella del mondo, ma che in alcuni aspetti segna ormai il tempo. La Costituente ha lavorato in un certo modo, unendo al suo interno tutte le anime (liberale, popolare, socialista), ora ci aspettiamo l'ennesimo cambio a maggioranza e fallimento al referendum? In Europa ci sono Paesi con altri sistemi istituzionali (tutti con pregi e difetti), forse basterebbe prendere spunto e adattare più che inventare altre 'porcate'.
8) gli enti locali spesso si sobbarcano le prime risposte da dare alle esigenze dei cittadini e solitamente tali risposte sono parziali, contradditorie, insufficienti...Come si pensa di creare integrazione, di superare le crisi locali, di combattere la criminalità senza mettere Comuni, Province e Regioni in grado di operare al meglio? La sussidiarietà è un valore da perseguire o l'autonomia è solo una bandiera da sventolare quando si deve nascondere altro? E quale struttura deve avere tale relazione tra Enti e Centro per non mettere nessuno in difficoltà?

Alcuni temi e alcune sollecitazioni...ce ne sono molti altri...ma avere già risposte chiare e non in politichese su questi sarebbe un passo avanti. Dubito arriveranno e dubito le cose cambieranno. La speranza è l'ultima a morire, ma alla lunga muore anche essa e la disaffezione dei cittadini dalle urne è il segnale più lampante di questa malattia della nostra democrazia. Non è facile andare a votare se non si sa cosa votare perché tutti sembrano timpani che non fanno altro che rimbombare la loro vuotezza di contenuti. Tuttavia credo che come cittadini abbiamo il diritto di ricevere, anzi di pretendere risposta! Ma l'Italia non è più Paese di rivoluzioni e preferiamo trovare vie alternative per raggiungere ugualmente il nostro scopo. E questo contribuisce non poco a prolungare questo purgatorio nel quale ci troviamo a vivere.





Verso un'Europa Nero-Bruna?

  Dopo una primavera ed un'estate di elezioni, ed in vista di un autunno che si preannuncia altrettanto gravido di scelte politiche, alc...