venerdì 19 aprile 2024

Idealismo e realtà

 


Nei giorni scorsi, guardando un TG, ho visto un servizio che presentava l'apertura di una mostra dedicata a Giovanni Gentile, filosofo neoidealista italiano, padre dell'omonima riforma scolastica del 1923 e membro convinto del Partito Fascista. Non è mia intenzione in questo frangente discettare sul profilo di colui che resta una delle principali figure filosofiche del '900 nel nostro Paese, ma mi offre l'occasione di parlare di scuola. Il servizio infatti chiudeva con un accenno alla qualità della scuola italiana, a seguito della riforma gentiliana.

L'intervento di Gentile fu una riforma organica del sistema scolastico italiano, rimasto in vigore in maniera immutata fino al al 1962 (ben oltre quindi l'avvento della Repubblica e del ritorno della democrazia in Italia). I principi dai quali mosse tale intervento furono antidemocratici, antimoderni ed elitari, soprattutto per quanto riguarda l'istruzione superiore: essa doveva essere riservata esclusivamente agli studenti migliori o appartenenti a famiglie facoltose (la qual cosa spesso coincideva, visto che l'assoluta maggioranza degli studenti che proseguivano gli studi apparteneva a famiglie agiate, indipendentemente dalle capacità personali).

Due frasi del filosofo-ministro possono chiarire meglio il concetto: «Gli studi secondari sono di lor natura aristocratici, nell'ottimo senso della parola: studi di pochi, dei migliori; perché preparano agli studi disinteressati scientifici; i quali non possono spettare se non a quei pochi, cui l'ingegno destina di fatto, o il censo e l'affetto delle famiglie pretendono destinare al culto de' più alti ideali umani». E ancora: «Alla domanda, un po' irosa: - Come si fa a trovar posto per tutti gli alunni? - io rispondo: - Non si deve trovar posto per tutti. - E mi spiego. La riforma tende proprio a questo: a ridurre la popolazione scolastica». I valori propugnati agli scolari erano i seguenti: rispetto della legge, ordine, disciplina e obbedienza all'autorità dello Stato (ovviamente allo Stato totalitario Fascista).

Ovviamente questi concetti sono ad oggi assolutamente incondivisibili e insostenibili. Ma cosa rimane di questa riforma nel profondo dell'animo di noi italiani? Perché se da un lato quasi nulla rimane di quanto operato da Gentile nella scuola, dall'altro probabilmente abbiamo interiorizzato alcuni principi che ancora oggi - 100 anni dopo - sono duri a morire e ad essere superati. Come mai, ad esempio, consideriamo ancora oggi l'istruzione liceale superiore a tutte le altre possibili scuole superiori? E perché tra i licei consideriamo ancora il Classico come il liceo per antonomasia? Come mai gli Istituti Professionali sono diventati il rifugio/ripiego di tutti quegli studenti che gli altri Istituti di Istruzione Superiore non riescono a gestire? E cosa dire dei CFP triennali? E chi ha deciso che alcune discipline (Greco e Matematica ad esempio) sono più nobili di altre? Qual è il senso di aver snaturato alcuni percorsi liceali per piegarli a logiche che non gli appartengono (si pensi ad esempio al liceo sportivo o al liceo scientifico tecnologico)? Potrei continuare, ma credo sia chiaro il punto.

La scuola, ad oggi, si trova a vivere un momento di grande travaglio e di difficoltà nello stare al passo con le esigenze del mondo contemporaneo e, in una società che sembra ragionare secondo uno schema binario, può sembrare che abbia perso parte della sua centralità. Bisogna allora allontanarsi dal contingente e guardare il tutto in prospettiva: compito della scuola è quello di concorrere alla formazione dell'uomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla Costituzione. A partire da questo, l'articolo 3 della Costituzione afferma che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Garantire il pieno sviluppo della persona umana è uno dei compiti della Repubblica e la scuola è lo strumento primario attraverso il quale questo può avvenire. Per tutti. Siamo lontani anni luce dal pensiero di Gentile.

Ma la realtà non è così facile: cosa vuol dire pieno sviluppo della persona? Come la scuola può divenire un valido aiuto in questo? Ha ancora senso la scuola così com'è? La scuola è pronta ad affrontare le sfide dell'uomo del XXI secolo? Come possiamo evitare che la scuola diventi un percorso di sofferenza per alcuni dei nostri studenti? La scuola gentiliana ha avuto sicuramente alcuni meriti e aspetti positivi, tuttavia non può essere un punto di riferimento per la scuola del presente e - soprattutto - del futuro. Per cui guardare al passato non serve a molto, se non ad escludere percorsi già vissuti. Serve una nuova riforma che trasformi in modo organico tutto il sistema scolastico italiano (che dopo le molte riforme parziali delle ultime legislature è assai sconquassato e contradditorio al suo interno), ma al momento non si vede all'orizzonte un simile intento. Nel mentre, probabilmente, il primo passo che potremmo fare noi cittadini sarebbe quello di cominciare a smettere di fare una distinzione valoriale tra i vari percorsi di scuola secondaria e vederli come strade attraverso le quali ciascun ragazzo comincia a scoprire e ad esprimere le proprie capacità, abilità e potenzialità. Un primo, piccolo passo che avrebbe il pregio di superare tanti luoghi comuni che spesso sono il primo ostacolo che gli studenti devono superare, prima ancora di iniziare il loro percorso.

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