domenica 25 febbraio 2024

Manganelli (e olio di ricino?)

 



In questi giorni siamo rimasti colpiti dalla violenza usata in diverse città italiane dagli agenti di polizia contro manifestazioni studentesche. Ciò che fa specie è la reazione sicuramente spropositata rispetto all'entità dell'eventuale minaccia all'ordine pubblico dovuta alle manifestazioni.

Che tali reazioni siano state assolutamente fuori luogo lo certifica la stessa Presidenza della Repubblica la quale afferma: "l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento". Poche parole, ma assolutamente chiare e che non ammettono replica e che dicono chiaramente come tali azioni delle forze di polizia non siano accettabili in un sistema democratico come il nostro.

Verrebbe da dire che le parole del Capo dello Stato sono di una ovvietà disarmante, eppure le reazioni del mondo politico sono state plurime: dalla richiesta di chiarimenti rivolta dalle forze di minoranza al Ministro dell'Interno, alle parole di Salvini che si possono riassumere nella frase "giù le mani dalle forze dell'ordine", fino a quelle di Fratelli d'Italia in cui si accusa la Sinistra (quale?) di spalleggiare i violenti e di fomentare questi disordini.

Concentrando l'attenzione sulle parole delle forze di maggioranza che sostengono il Governo emergono alcune riflessioni interessanti (ci concentriamo sulle loro esternazioni in quanto sono loro a gestire la Repubblica in questo frangente storico).
Innanzitutto le parole di Salvini che dribblano il problema e si concentrano sulla funzione delle forze dell'ordine: loro garantiscono sicurezza e democrazia (ordine dei termini assolutamente non casuale) e non possono essere tirati in ballo nella contesa politica, sono uomini e donne, non robot, quindi possono sbagliare. Inoltre, se si va in piazza senza insultare, sputare, spintonare, non si ha nessun tipo di problemi. Una volta uscite le parole del Presidente della Repubblica ha dovuto correggere un po' il tiro: Le parole del presidente si leggono ma non si commentano. Certo è sempre meglio che non ci siano scontri. Poliziotti e carabinieri sono quotidianamente vittime di violenza fisica e verbale. Se mio figlio andasse a urlare “sbirro coglione” poi se la dovrebbe vedere con me.


Emergono almeno tre aspetti interessanti:
- le forze dell'ordine, avendo una importante funzione all'interno del Paese devono essere tutelate a prescindere e sono loro le vittime della situazione (quindi la reazione è giustificabile perché sotto attacco); Certo, se basta qualche provocazione a far saltare i nervi a degli agenti professionisti forse dovremmo ripensare a come arruoliamo tale personale...
- le manifestazioni devono svolgersi in modo ordinato e senza creare disturbo.
Riguardo al primo aspetto credo che nessun cittadino democratico metta in discussione l'essenziale funzione delle forze dell'ordine, tuttavia ritengo anche che lo stesso cittadino democratico, davanti a scene del genere vorrebbe essere rassicurato del fatto che tali comportamenti della polizia non saranno tollerati oltre, altrimenti altro che sicurezza!
Ma da chi faceva identificare dalla DIGOS chi esponeva nel balcone di casa uno striscione di contestazione non ci si può certo aspettare la comprensione del delicato equilibrio tra democrazia e sicurezza (anche qui messi in ordine assolutamente non casuale e, per chi scrive, corretto);
- nel pensiero di Salvini c'è anche un po' di confusione tra educazione (da impartire in famiglia) e ordine pubblico (da garantire), a meno che non usi il manganello con il figlio!

Passiamo quindi alle parole degli esponenti di di FdI: "Fratelli d’Italia difende le regole democratiche di convivenza che si basano sul diritto di manifestare e il dovere di farlo pacificamente e nel rispetto della legge. La sinistra che spalleggia i violenti è la causa dei disordini ai quali abbiamo assistito”. Anche qui ci sono alcuni spunti di riflessione interessanti:
- per dovere di manifestare pacificamente cosa si intende? Che bisogna farlo rimanendo composti, in silenzio al proprio posto? Urla, slogan e qualche provocazione da parte di studenti possono essere definiti fatti violenti e quindi contrari al dovere di manifestare pacificamente? La protesta è tale proprio perché crea scompiglio, altro sono i cassonetti incendiati, il lancio di molotov, l'assalto alle camionette delle forze dell'ordine... Qui manca proprio il senso delle parole (oppure, ma la cosa è assai meno rassicurante, si vuole impedire la semplice manifestazione del dissenso);
- La sinistra spalleggia i violenti: se non fosse una frase grottesca, ci sarebbe da sorridere. A parte il fatto che tale frase è lo spauracchio che da sempre le Destre agitano contro la popolazione civile per spaventarla e ottenerne il voto (lo ha fatto Mussolini, lo ha fatto Berlusconi...Nihil sub sole novi), è evidente come sia assolutamente senza fondamento, visto che in questo caso le violenze sono state perpetrate dalle forze dell'ordine (a meno che, ma dubito, il comunicato di FdI non si riferissero ai poliziotti).

Altre riflessioni si potrebbero fare, ma credo sia abbastanza chiaro come a strumentalizzare la situazione, che che ne dica Salvini, è proprio la destra e l'intento è esattamente quello di cercare di normalizzare situazioni che di normale, in una democrazia non hanno proprio nulla. Allora ben vengano piazze come quella di Pisa dell'altra sera. Come società civile non possiamo piegarci e accettare questa prevaricazione dei nostri diritti. Ne va della nostra democrazia e della nostra sicurezza!

sabato 17 febbraio 2024

Padri eterni

 


Si sta accendendo in questi giorni le polemiche politiche attorno al terzo mandato per sindaci e governatori. All'apparenza sembra una questione di lana caprina, assolutamente secondaria rispetto a tutti i problemi che ha il nostro Paese e che sicuramente non incide sulla vita di noi cittadini. Invece - a mio parere - non è proprio così. Ma andiamo con ordine.

La questione necessita innanzitutto una riflessione di fondo: il terzo mandato ha senso solo se c'è un programma da portare a termine, altrimenti non ha alcun senso. Ma chi ci garantisce che ciò che non è stato portato a termine in 10 anni (ovvero la durata di due mandati) lo sarà in 15? Se fossero emersi dei problemi o delle difficoltà credo che una decade sia un tempo sufficiente a trovarne anche la soluzione! E se la soluzione non è stata trovata significa che le persone deputate a trovarla non sono in grado di farlo, quindi meglio cambiare. 

Inoltre non dimentichiamoci che l'alternanza (di persone, oltre che di forze politiche) è un carattere essenziale di ogni democrazia. È un valore in sé. Garantisce infatti che le istituzioni non si irrigidiscano attorno a determinati modi di fare e pensare, offrendo la possibilità di trovare strade nuove per rispondere alle esigenze che di volta in volta emergono. È un modo per rispondere alle esigenze di noi cittadini, una garanzia che il potente di turno è lì per noi, non per altri.

Infine, la questione copre un altro aspetto, a mio avviso distorsivo: se non diamo a sindaci e governatori il terzo mandato, dove li mettiamo, che ruolo gli diamo? Ecco, questo tipo di ragionamento in una democrazia non dovrebbe proprio trovare spazio. La politica dovrebbe essere un'attività svolta a tempo determinato, all'interno di un percorso di vita che ha al di fuori di essa strumenti sufficienti a garantire la realizzazione personale. Il politico di professione non dovrebbe essere una figura tipica della democrazia, anche se ci possono essere persone che trascorrono molti anni nel ricoprire ruoli politici, ciò avviene sono grazie al consenso popolare, non per decisioni prese dall'alto (e qui si aprirebbe la questione della scelta della classe politica...ma non entriamo in questo vespaio).

Ecco allora che la questione del terzo mandato rischia di trasformarsi in una questione di padri eterni: di persone che reputano il loro posto nelle istituzioni come un atto dovuto. E anche questa è una forma subdola di populismo che considera il consenso popolare - da guadagnare di volta in volta in base alla propria capacità di portare a termine il programma proposto in sede di campagna elettorale - come un elemento corollario rispetto al proprio ruolo. Una specie di occupazione delle istituzioni che le soffoca al posto di renderle funzionali ai cittadini; esattamente il contrario di quello che dovrebbe avvenire in una democrazia.

A Roma, più di un secolo fa, circolava tra i collaboratori di Leone XIII (papa per 25 anni) una frase: "Credevamo di eleggere un Santo Padre, abbiamo eletto un Padre Eterno". Direi che non possiamo permetterci di correre lo stesso rischio.

  

martedì 13 febbraio 2024

Il carrozzone va avanti da sé...

 


...con le regine, i suoi fanti e i suoi re...

è finita quella che alcuni chiamano settimana santa, io preferisco chiamarla settimana di passione - in fin dei conti la stessa Vanoni ha affermato che "a vederlo tutte le sere ti viene la meningite" - e, come tutti i Sanremo precedenti, si è portato dietro le sue polemiche. Lasciando in secondo piano la gara canora e i retropensieri sul secondo posto di Geolier che lasciano il tempo che trovano, sicuramente è assai più interessante soffermarci sulle reazioni ad alcune esternazioni di qualche cantante in gara.

Pensare che Sanremo sia una gara canora avulsa dalla realtà è una sciocchezza conclamata almeno da quella sera in cui  un uomo voleva buttarsi dalla galleria o da tutto ciò che ancora oggi avvolge la morte di Luigi Tenco. Quindi era inevitabile che qualche riferimento alla situazione che stiamo vivendo ci fosse, che ci piaccia o meno.

Ecco, questo è il punto: siamo obbligati a condividere tutto quello che viene detto dal palco di Sanremo? No. Ma abbiamo il dovere di ascoltare e di lasciarci interrogare da quanto viene detto e poi, in caso, cestinarlo. Invece, come zia Mara ha fatto ben intendere, noi dobbiamo condividere tutto, altrimenti iniziano i casini. Vedi mai che il senatore Gasparri prepari una (ennesima) interrogazione in commissione vigilanza RAI o che qualche ambasciatore si indisponga! Il problema di voler relegare Sanremo esclusivamente ad una gara canora senza nessun contatto con la realtà, è che si potrebbe poi finire a contestare i testi delle canzoni e magari procedere con una censura preventiva (non sarebbe la prima volta che viene cambiato il testo di qualche canzone...).

Lasciamo allora che, nei limiti della buona educazione, i cantanti in gara esprimano il loro pensiero, come hanno fatto a loro modo Ghali (con una educazione e una classe che il senatore Gasparri si sogna) e Dargen D'Amico (graffiante e diretto) e che il dibattito si animi; non sarà certo qualche frase detta da un cantante su un palco a determinare la direzione delle politiche del Paese! E il solo fatto di pensarlo rivela tutta la piccineria della nostra classe dirigente (come il comunicato letto domenica sera in coda a Domenica In rivela le paure dei dirigenti RAI che, ovviamente, non sono da imputare all'ambasciatore israeliano in Italia). Qualcuno rosicherà? Amen; anche questo fa parte del gioco.

...Ridi buffone, per scaramanzia... 

venerdì 9 febbraio 2024

Ricordo e Vergogna

 




Domani, 10 febbraio, sarà il Giorno del Ricordo, un momento in cui "conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale" (L.92 30/03/2004). Questo esodo fu l'ultimo colpo di coda che come Paese abbiamo subito a seguito della sconfitta nella II Guerra Mondiale, ma è fuorviante credere che abbia avuto origine in quel contesto bellico o nell'immediata vicinanza allo scoppio della guerra. Le radici che hanno portato a quella tragica conclusione (tragedia nella tragedia) sono molto più profonde e partono da lontano. Almeno dalla mattina del 12 maggio 1797 in cui i soldati schiavoni lasciarono Venezia dopo che il Doge Ludovico Manin si era arreso senza combattere all'invasione napoleonica.


Dalla primavera di quell'anno infatti l'Adriatico, da tempo immemore unito, si ritrovò diviso: le sue sponde esprimevano ora - ed esprimono tutt'oggi - identità diverse che non hanno saputo negli anni costruire una memoria condivisa e che, anzi, hanno cercato di affermarsi attraverso la negazione dell'altro. Maestra in questa via fu l'Austria, subentrata a Venezia nel dominio della costa orientale dell'Adriatico: nel tentativo di sradicare i secoli di relazioni con Venezia legò sempre più strettamente a sé quei territori incentivandone la componente slava. Quel legame reciproco che aveva connesso intimamente Istria (lo Scudo della Dominante), la Dalmazia e Venezia veniva ora declinato come mero atto di colonialismo da rigettare, una catena da spezzare (nel momento stesso in cui gli artigli dell'aquila asburgica facevano sempre più stretta presa nei Balcani e avrebbero da lì a un secolo trascinato il Mondo nel primo conflitto mondiale).


La Grande Guerra sembrò la via più facile per ricomporre le fratture e risolvere le questioni in sospeso. Ma i Balcani del 1918 non erano più quelli che cercavano di riscattarsi dal dominio ottomano e il Regno d'Italia era altro dalla Repubblica di Venezia, si parlò così di vittoria mutilata (maledetto D'Annunzio!) visto che i sogni di conquista italiana in Istria e Dalmazia vennero infranti. Fu un brusco risveglio: la realtà stava bussando alla porta d'Italia, ma noi italiani preferimmo cullarci nelle sinuose spire delle parole del Vate e, una volta consegnato il nostro destino al Duce, credemmo fosse giunto il momento della legittima riunificazione di quelle terre irredente alla Patria natia. Poveri illusi.


Le estreme conseguenze della dittatura fascista e della II Guerra Mondiale ci rivelarono quanto ci fossimo sbagliati! Quelle terre che credevano nostra proprietà lottarono con tutta la loro forza per liberarsi dall'abbraccio mortale con cui le tenevamo avvinghiate. E a pagarne il tributo di sangue fu, come sempre, la povera gente. Le violenze del Regime, della guerra e dei vincitori si abbatterono sulla popolazione con una crudeltà disumana. E a noi, italiani di qua del confine, toccò guardare in faccia la cifra della nostra sconfitta. Ma, ancora, non volemmo fare i conti con la Storia.


Gli esuli, frutto della nostra follia, portarono anche il peso della nostra vergogna. Noi dovevamo arrossire davanti a loro, eppure furono loro ad essere mal sopportati dai bravi italiani: ci ricordavano la sconfitta ed un Paese uscito distrutto da una guerra civile che si era inserita nella guerra mondiale non aveva bisogno di altri motivi di disperazione; c'è n'erano già più che a sufficienza. Così gli esuli istriano-dalmati furono cancellati dalla nostra storia (per essere forse da qualcuno riesumati decenni dopo per cercare una foglia di fico dietro cui nascondersi davanti alla vastità del male fatto che la Giornata della Memoria ci ricorda).


Non voglio entrare nelle dinamiche di approvazione della Legge 92 del 2004, tuttavia questo giorno sia per noi non motivo per acuire la divisione tra le due sponde dell'Adriatico, quanto occasione per guardare finalmente in faccia la Storia, per sederci attorno ad un tavolo tutti - italiani, sloveni e croati - a scrivere finalmente una narrazione condivisa dell'ultimo secolo e mezzo della nostra vita assieme, con le sue gioie e i suoi dolori.




Verso un'Europa Nero-Bruna?

  Dopo una primavera ed un'estate di elezioni, ed in vista di un autunno che si preannuncia altrettanto gravido di scelte politiche, alc...